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(18 maggio 2025)
Il 2 maggio 2025, il Governatore dello Stato di Washington, Bob Ferguson, ha firmato il Senate Bill 5375, il disegno di legge che introduce una riforma significativa nel quadro normativo della protezione dei minori. La nuova legge, che entrerà in vigore il 27 luglio 2025, elimina l’esenzione che fino ad oggi permetteva ai membri del clero di non denunciare abusi sui minori appresi durante la confessione sacramentale.
In particolare, modificando i capitoli del Revised Code of Washington (RCW) 26.44.020 (che definisce i termini chiave relativi all’abuso e alla negligenza sui minori) e 26.44.030 (che stabilisce l’obbligo di denuncia per determinate categorie professionali), viene esteso l’obbligo di denuncia a tutte le figure religiose, inclusi sacerdoti, pastori, rabbini, imam e altre figure spirituali, indipendentemente dal loro status istituzionale o dalla formalità del riconoscimento religioso.
La frattura rispetto alla tradizione legale statunitense è ben evidente, essendo quest’ultima finora improntata alla protezione delle comunicazioni sacramentali in virtù del principio del sigillo confessionale, riconosciuto come inviolabile nel diritto canonico (can. 983, can. 1388), e tutelato come parte integrante della libertà religiosa garantita dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e dal Religious Freedom Restoration Act (RFRA) del 1993.
Prima dell’entrata in vigore del Senate Bill 5375, il sistema giuridico dello Stato di Washington prevedeva un regime di obbligo di denuncia per determinate categorie professionali, tra cui medici, psicologi, insegnanti e assistenti sociali, in conformità con il RCW 26.44.030.
Tuttavia, il capitolo RCW 5.60.060 garantiva una specifica esenzione per le informazioni apprese dai membri del clero durante le confessioni sacramentali, riconoscendo il privilegio di riservatezza delle comunicazioni religiose come una componente essenziale della libertà di culto.
Questo principio, radicato nel sistema di common law e storicamente protetto nei paesi di tradizione anglosassone, si basa sull’idea che il rapporto tra fedele e sacerdote debba essere tutelato per garantire la libertà religiosa e la protezione della coscienza spirituale e che trova riscontro anche in importanti decisioni della Corte Suprema degli Stati Uniti (il caso Watson v. Jones, 80 U.S. 679 (1871) nel quale sostanzialmente si è affermata l’autonomia delle comunità religiose nel disciplinare le proprie questioni interne senza interferenze statali).
Con l’approvazione del Senate Bill 5375 e l’estensione dell’obbligo di denuncia alle figure religiose senza eccezione per le comunicazioni sacramentali, questa storica protezione viene formalmente eliminata, frutto di una scelta rappresentativa dell’espansione del concetto di “mandatory reporting” (l’obbligo legislativo che impone a determinate categorie di persone di segnalare alle autorità governative casi sospetti di abuso e negligenza nei confronti di minori) , che negli Stati Uniti ha radici profonde nel sistema giuridico di common law e che, nel corso degli ultimi decenni, ha visto un progressivo ampliamento per includere sempre più categorie professionali e situazioni specifiche di rischio per i minori.
La notizia di Washington ha suscitato reazioni da parte delle comunità religiose, in particolare della Chiesa cattolica, con la critica dell’Arcivescovo di Seattle, Paul D. Etienne[1], che ha definito la nuova legge una violazione del diritto canonico che considera il sigillo sacramentale assolutamente inviolabile ed essenziale per garantire la libertà religiosa e la sicurezza spirituale dei fedeli, prevedendo la scomunica automatica latae sententiae (can. 1388) per qualsiasi sacerdote che riveli quanto appreso in confessione.
Ma vi è di più: la nuova legge di Washington potrebbe sollevare questioni costituzionali complesse in relazione alla libertà religiosa garantita dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, una tensione giuridica già esaminata dalla Corte Suprema nelle pronunce Employment Division v. Smith (1990) e City of Boerne v. Flores (1997).
Nel caso Employment Division v. Smith, la Corte aveva stabilito che le leggi di applicazione generale, che non mirano specificamente a limitare l’esercizio della religione, non violano il Primo Emendamento, anche se impongono un onere indiretto sulle pratiche religiose.
In particolare, tale principio si applica quando la legge è considerata “neutrale” e di “applicazione generale”, ossia non intesa a discriminare né privilegiare una particolare fede, ma a regolare in modo uniforme i comportamenti dei cittadini indipendentemente dalle loro credenze. Di conseguenza, una legge che richieda ai sacerdoti di denunciare alle autorità informazioni apprese durante la confessione potrebbe essere considerata costituzionalmente valida, purché sia formulata in termini neutrali e applicabili a tutti, senza mirare specificamente a limitare le pratiche religiose.
In risposta alla decisione del 1990, il Congresso approvò il Religious Freedom Restoration Act (RFRA) nel 1993, proprio per ripristinare uno standard più elevato di protezione per la libertà religiosa. Il RFRA richiede che qualsiasi legge che incida sostanzialmente sull’esercizio della religione debba superare un controllo rigoroso, dimostrando che tale restrizione è il mezzo meno restrittivo per perseguire un interesse governativo cogente.
Tuttavia, la portata del RFRA è stata significativamente limitata dalla Corte nel caso City of Boerne v. Flores (1997), in cui si stabilì che il Congresso non poteva estendere il RFRA per imporre obblighi costituzionali agli stati oltre quanto previsto dal Quattordicesimo Emendamento.
Questo significa che, sebbene il RFRA si applichi ancora a livello federale, le leggi statali come quella di Washington potrebbero essere esenti da tale controllo rigoroso, purché rispettino i principi di neutralità e applicazione generale come definiti nella sentenza Employment Division v. Smith.
Pertanto, se la nuova legge sul segreto confessionale a Washington è strutturata come una norma di applicazione generale e non intende prendere di mira specificamente le pratiche religiose, potrebbe superare il controllo costituzionale in base ai principi delineati nella pronuncia del 1990 e confermati in parte da quella del 1997.
La riforma di Washington si inserisce comunque in un contesto internazionale caratterizzato da un crescente dibattito sulla responsabilità delle figure religiose nella prevenzione degli abusi.
Un precedente rilevante è sicuramente quello della Royal Commission australiana del 2017, che ha raccomandato l’eliminazione delle esenzioni confessionali per i casi di abuso su minori, provocando uno scontro con la Conferenza Episcopale Australiana, che ha respinto tali raccomandazioni come incompatibili con la fede cattolica e contrarie alla libertà religiosa.
Mentre in Australia però la proposta della Commissione è rimasta in gran parte non attuata, la decisione di Washington rappresenta un passo concreto verso l’eliminazione di queste tutele, ponendosi come esempio per altre giurisdizioni che potrebbero seguire lo stesso percorso, come il Canada e il Regno Unito[2].
A questo punto una riflessione sorge spontanea nel considerare come la nuova normativa di Washington, pur perseguendo l’obiettivo nobile e imprescindibile della tutela dei minori, abbia scelto di limitare il segreto confessionale dei ministri religiosi in casi di abusi, lasciando invece intatto quello di altre categorie professionali come medici, avvocati e psicologi.
Questa scelta normativa solleva interrogativi sulla disparità di trattamento riservata ai diversi contesti professionali.
Se, da un lato, l’esigenza di proteggere i più vulnerabili giustifica un ripensamento delle garanzie tradizionali, dall’altro emerge il rischio di compromettere valori fondamentali come la libertà religiosa, sancita a livello costituzionale, ponendo implicitamente la dimensione spirituale su un piano inferiore rispetto a quella sanitaria o legale.
Tale approccio potrebbe essere letto come una svalutazione del ruolo delle confessioni religiose nella vita delle persone, sollevando il dubbio se, nel bilanciamento tra valori costituzionali, la libertà religiosa sia destinata ad un ruolo meno protetto rispetto ad altri diritti fondamentali.
Marzia Maria Fede
[1] Archdiocese of Seattle, Office of the Archbishop, “Clergy: Answerable to God or State”, Archbishop Paul D. Etienne May 4, 2025, https://www.wacatholics.org/_ui/img/heros/Archbishop-Paul-Etienne-on-On-Clergy-Reporting-05-04-25.pdf.
[2] M. CARNI', Segreto confessionale e derive giurisdizionaliste nel rapporto della Royal Commission australiana, in Diritto e Religioni, 2019, pp. 46 ss.