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Numero 2/2024RAFFAELLA LOSURDO Festività religiose e globalizzazione
(16 giugno 2025)
Fa discutere la notizia di un guru induista che si sarebbe auto-proclamato sovrano di uno Stato fittizio da lui stesso fondato. Si tratta di Arunachalam Rajasekaran, meglio noto come Paramahamsa Nithyananda, ‘supremo pontefice’ – come lo definiscono gli adepti del culto – della Sanatāna Hindu, una corrente indù tradizionalista ispirata ad antichi dogmi darmici. Ma il caso di Nithyananda è noto anche per precedenti – e irrisolte - controversie giudiziarie. Gli sono stati contestati vari reati in violazione del codice penale indiano ex artt. nn. 120 lett. b) (cospirazione criminale), 295 (danneggiamento o profanazione di un luogo di culto, con l'intento di vilipendio religioso), 376 (abuso sessuale), 377 (offese “innaturali”), 420 (truffa e induzione indebita alla consegna di beni), 506 comma 1 (minacce). La difesa del guru, incentrata su accuse di diffamazione e di manipolazione di materiale probatorio indirizzate ai suoi querelanti e alcuni organi di stampa, avrebbe reso, poi, talmente intricata la faccenda da rallentare gravemente i tempi processuali[1], peraltro in un impianto giudiziario come quello indiano, responsabile di un sistema di giustizia alquanto problematico[2]. La questione è ancora aperta e manca, per ora, una sentenza definitiva di condanna.
La presunzione d’innocenza, ciò nonostante, è stata velatamente aggirata dai numerosi giornali che, in modi disparati, hanno aggettivato il guru Nithyananda[3]. E, il rischio che corrono queste qualificazioni, in seno all’opinione pubblica che le riceve, è spesso quello di sfociare in etichette stigmatizzanti che non rendono merito alla complessità del fenomeno religioso induista.
Tornando al rilievo concernente lo Stato fittizio, è noto che la sua presunta fondazione risalga al 2019 e che, mutuando il nome da un antico tempio indù, esso sia stato denominato Stato di “Kailasa”[4]. I suoi membri “rappresentanti” hanno proceduto alla stipula di cultural partnerships con i sindaci di alcune città statunitensi[5]; hanno aperto vari Āśrama in tutto il mondo; e hanno acquistato alcuni ettari di terra in zone amazzoniche dell’America latina. L’ultima di queste acquisizioni è avvenuta in Bolivia, e ha reso ulteriormente celebri Paramahamsa Nithyananda e i suoi fedeli. I rappresentanti di alcuni dei popoli indigeni – Baure, Ese Ejja, Cayubaba - della zona Tim II - Territorio Indígena Multiétnico - avrebbero firmato contratti con gli omologhi del fantomatico Stato di Kailasa cedendo, per mille anni, e in cambio di alcune centinaia di migliaia di dollari, ogni diritto sulle terre[6] con l’impegno di riconoscere e difendere lo Stato di Kailasa, i suoi futuri abitanti e il suo capo da eventuali attacchi esterni. Le autorità civili boliviane sono intervenute e hanno ripristinato le previgenti condizioni, disponendo l’espulsione dei kailasiani[7].
La vendita delle terre da parte dei popoli indigeni appare già, di per sé, una questione particolarmente interessante, essendo la terra uno degli elementi centrali nello sviluppo delle tradizioni cosmogoniche e ctonie tipiche di quelle comunità[8]. L’omologazione dei loro stili di vita a quelli occidentali e l’avvertita necessità di adeguamento a detti modelli, di fatti, rappresentano alcuni fra i tanti effetti deleteri prodotti dai processi coloniali sulle culture autoctone. Non è questa, tuttavia, la prospettiva che si vuol seguire; né tantomeno quella relativa ai requisiti costitutivi ed essenziali necessari al riconoscimento di uno Stato. Si cercherà di sviluppare, invece, una breve argomentazione relativa alle ragioni culturali che spingono i fedeli di una religione a fingere la creazione di uno Stato[9] e si cercherà, poi, di proporre una lettura alternativa a quelle avanzate da media e politici che hanno espresso pareri sul caso[10].
A tal proposito, è doveroso fare alcune premesse. In primo luogo, risulta di notevole rilievo un’informazione rintracciabile nel sito web degli auto-dichiarati “Stati Uniti di Kailasa” secondo la quale, la creazione di detta entità, prende ispirazione - quantomeno da una prospettiva politico-giurdica - dallo Stato della Città del Vaticano[11]. In secondo luogo, appare ulteriormente interessante indagare i fattori causali che avrebbero favorito, nei kailasiani, l’insorgere di un sentimento di persecuzione avvertito rispetto agli Stati e ai media. In merito, infatti, non è chiaro se tale sentimento sia frutto di una manipolazione del guru sui devoti, oppure una diretta conseguenza degli attacchi mediatici e politici sorti in seguito alla “creazione” dello Stato. Infine, occorre evidenziare l’importanza che il sito web riveste per lo Stato fantoccio. Questo sito, vera e propria “interfaccia” virtuale prodotta su imitazione di website governativi ufficiali, si compone di sezioni che forniscono informazioni sui temi più disparati: storia, documenti, ambasciate, gerarchia dell’ordinamento e tutto quanto possa fornire, all’user, l’idea che Kailasa sia, effettivamente, uno Stato[12]. Convinzione erronea che rischia di trarre ulteriormente in inganno se si tiene in considerazione, oltre al sito web perfettamente organizzato, anche il patrimonio immobiliare posseduto dallo Swami – per il tramite della persona giuridica della Life Bliss Foundation[13] - e il numero di fedeli che il culto conta in tutto il mondo (più di due milioni).
Date le premesse, pur non escludendo che la creazione dello Stato fittizio possa risultare uno strumento difensivo nelle mani di un manipolatore di massa alla Jim Jones, appare nondimeno interessante considerare altre prospettive, riguardanti i fedeli e la religione induista quale fenomeno complessivo colto nella sua relazione con la modernità occidentale[14].
Il culto Sanatāna preesiste ai fedeli. Essi, coerentemente al loro modo di vivere e concepire la religione, considerano i guru come manifestazioni umane del divino cui riservare un atteggiamento di devozione[15]. Molto spesso, tuttavia, si tende a interpretare questo fenomeno religioso con categorie culturali occidentali[16] che facilitano la stigmatizzazione dei guru e dei fedeli, facendo passare i primi per manipolatori e i secondi per manipolati. E, in questi casi, a pagare le maggiori conseguenze di approcci ermeneutici preconfezionati sono soprattutto i fedeli, non solo perché etichettati come soggetti deboli facilmente manipolabili, ma anche perché derisi per la loro religiosità[17] e per il fatto che questa li avrebbe resi soggiogabili. Questa stigmatizzazione, in linea di massima, scaturisce dal lavoro di organi di stampa e gruppi politici che “emettono” sentenze e “decretano” la colpevolezza di un guru - in termini mediatici - prima ancora che a farlo siano le autorità giudiziarie competenti. L’opinione pubblica, che di tecnicismi giuridici non è sempre dotta, rischia così di cadere facilmente nella trappola delle categorizzazioni trasformando, di conseguenza, un “titolo di testata” in una “sentenza irrevocabile di colpevolezza”.
Le ragioni che lo Swami Nithyananda avanza per giustificare la creazione dello Stato fittizio appaiono come una strumentale contro-risposta a queste retoriche mediatiche. Nel sito web di Kailasa, infatti, si afferma che la creazione dello Stato serve a rendere “intangibile” il culto e a difenderlo dagli “attacchi” che potrebbero comportarne la dissoluzione. L’emulazione dello Stato della Città del Vaticano, pertanto, potrebbe interpretarsi come sforzo di adeguamento, per scopi difensivi, a modelli istituzionali consolidati giuridicamente.
Dare spazio a queste prospettive, occorre sottolineare, non vuol essere affatto un tentativo di difesa del guru. L’intento, tutt’al più, è quello di speculare sulle ragioni che avrebbero indotto delle persone a doversi macchiare di un reato, come quello di porre in essere attività in nome e rappresentanza di uno Stato inesistente. Talvolta, infatti, non è da escludere che dietro queste ragioni si nasconda la frustrazione di un mancato riconoscimento della propria diversità. E, di conseguenza, dato che la colpevolezza di pochi spianerebbe la strada alle banalizzazioni mediatiche e politiche, al misconoscimento delle diversità, dunque alle potenziali privazioni della libertà religiosa, ecco che l’idea di conformarsi a modelli dotati di un più ampio riconoscimento giuridico-politico prende forma, assumendo le sembianze di un mezzo strategico da impiegare per vedersi riconosciuto uno spazio di libertà e di accettazione della propria identità.
Pur non escludendo, pertanto, la sussistenza di un comportamento manipolatorio del guru, è forse necessario ridimensionarne la portata performativa. Al contrario, l’effetto retroattivo indotto dalle retoriche mediatiche e politiche sembrerebbe molto incisivo nel favorire l’arroccamento dei fedeli all’interno di una comunità cultuale e l’esacerbazione della loro identità. Cause, queste, che possono, di ritorno, trasformarsi in effetti, intensificando l’adesione dei fedeli alle prescrizioni religiose dettate dalla guida spirituale e realizzando, di conseguenza, un rafforzamento delle sue eventuali potenzialità manipolatorie.
Che si sia realizzato un esercizio improprio del potere da parte del guru e ci sia stata, a tal riguardo, una complicità di alcuni fedeli, è probabile; ma oltre alle accuse e alle generalizzazioni, sarebbe forse giusto riservare una parte del proprio impegno critico a cercare di comprendere anche il punto di vista dell’Altro, ricordando che una parte non è mai sufficiente a determinare il tutto. Per assolvere anche in modo minimale a questo compito, sarebbe sufficiente visitare il sito web dello “Stato” di Kailasa per constatare che, tra le sue varie finalità costitutive, esso professa anche l’ecologismo e la non discriminazione. Obiettivi, questi, che forse non sempre attirano sentimenti di condivisione, ma che risultano pur sempre coerenti con la teleologia comune delle democrazie euro-americane e che potrebbero, contrariamente a qualsiasi opera di superficiale avversione, rappresentare le basi per un dialogo comune tra gruppi profondamente diversi.
A oggi, tuttavia, tale ultima prospettiva appare remota e l’apposizione di categorie concettuali proprie, corroborata da un crescente sentimento di razionalismo secolarizzante, rende molto più facile sottoporre alla gogna mediatica i fedeli di un culto o gli appartenenti a culture ritenute altre, piuttosto che tentare di aprirsi alla comprensione e accettazione delle loro peculiarità e diversità. A quanto pare, la libertà religiosa ha ancora tanta strada da percorrere per emanciparsi dal passato coloniale in cui, malauguratamente (e intenzionalmente), è cresciuta.
Ignazio Barbetta
[1] I processi riguardanti il guru (sia come parte ricorrente che resistente) sono numerosissimi. Per una ricostruzione parziale e cronologica si rinvia alle seguenti sentenze: Criminal Petitions nn. 141 e 142 del 2012; Criminal Petitions nn. 2328 e 2344 del 2010 (https://indiankanoon.org/doc/60167930/); WPHC n. 108 del 2012 (https://indiankanoon.org/doc/13985038/); W.P. n. 19094 del 2012 (https://indiankanoon.org/doc/158791091/); C.S. n. 409 of 2012 (https://indiankanoon.org/doc/6145196/); AKR n. 126 del 2014(https://indiankanoon.org/doc/114871044/); C.Ps. nn. 211, 224 e 240 del 2018 (https://indiankanoon.org/doc/5065470/); CRL. Ps. Nn. 6920 e 6927 del 2018 (https://indiankanoon.org/doc/183989034/); C.P. n. 594 del 2020 (https://indiankanoon.org/doc/154255120/); W.Hansaraj Saxena vs State Through Rep. By on 13 April, 2023, riguardante il Crl.O.P. n. 1917 del 2016 e i Crl.M.P. nn. 980 e 3051 del 2016 (https://indiankanoon.org/doc/71911837/); e la sentenza Janardhana Ramkrishna Sharma vs State Of Gujarat on 2 February, 2024 (https://indiankanoon.org/doc/71852357/).
[2] Sul punto, brevi osservazioni si possono trovare in Pratibha Murtia, Evolution Problem and Challenges in the Indian Judiciary, in Jus Corpus Law Journal, vol. 3, n. 2, 2023, pp. 103-112.
[3] Solo per citarne alcuni: https://www.aljazeera.com/news/2019/12/5/wanted-indian-guru-resurfaces-to-announce-new-cosmic-country (Al Jazeera); https://news.cgtn.com/news/2019-12-11/Rape-accused-fugitive-Indian-guru-announces-cosmic-nation--MkXoljJNfO/index.html (Cgtn); https://www.bbc.com/news/world-asia-india-18443881 (BBC); https://www.indiatoday.in/india/south/story/swami-nithyananda-arrest-the-story-of-why-he-is-in-trouble-105601-2012-06-13 (India Today).
[4] Sul punto, si vedano i seguenti siti giornalistici: https://timesofindia.indiatimes.com/india/decoding-the-fictional-country-of-kailasa-that-catfished-30-us-cities/articleshow/99005350.cms (The Times of India); https://www.cbsnews.com/newyork/news/newark-sister-city-scam-kailasa/(CBS News); https://www.vice.com/en/article/kailasa-fake-country-nithyananda-scam-crime/ (Vice); https://www.boomlive.in/explainers/nithyananda-united-states-of-kailasa-united-nations-21219 (Boom).
[5] Si vedano i seguenti siti giornalistici: https://www.thehindu.com/news/international/nithyanandas-fake-country-kailasa-cons-30-us-cities-with-sister-city-scam-report/article66633024.ece#:~:text=Self%2Dproclaimed%20godman%20and%20fugitive,agreement%20with%20the%20fictional%20country (The Hindu); https://www.theguardian.com/us-news/2023/mar/16/newark-officials-duped-kailasa-nithyananda (The Guardian);
[6] In tal senso si rinvia, ex plurimis, ai seguenti siti giornalistici: https://www.repubblica.it/venerdi/2025/04/11/news/amazzonia_bolivia_setta_guru_indigeni_truffa_viaggi_da_fermo-424121685/ (La Repubblica); https://www.ilpost.it/2025/04/08/stato-induista-kailasa-terre-nativi-bolivia/ (Il Post); https://eldeber.com.bo/pais/estado-ficticio-tienta-indigenas-para-que-alquilen-sus-territorios-por-mil-anos_506807/ (País).
[7] Come ulteriormente specificato dal Ministerio de Relaciones Exteriores boliviano. Sul punto, cfr. https://cancilleria.gob.bo/mre/2025/03/21/20491/
[8] In tal senso si rinvia a Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, a cura di Pietro Angelini, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
[9] A loro dire, Kailasa è un soggetto di diritto internazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma la verità è un’altra. Attraverso un escamotage, infatti, alcuni rappresentanti di Kailasa sarebbero riusciti a partecipare a due riunioni ONU, ma senza mai ottenere alcun tipo di riconoscimento.
[10] Con riguardo ai pareri politici, mi sembra esemplificativo l’intervento reperibile in https://www.foxnews.com/media/politicians-cities-forging-ties-fake-hindu-cult-leader-reveals-pitfalls-inclusivity-buck-sexton (Foxnews). In diretta televisiva, infatti, alcuni commentatori – simpatizzanti del conservatorismo americano - non avrebbero lesinato critiche ai sindaci delle città per aver stipulato delle cultural partnerships con i rappresentanti di uno Stato inesistente. Le considerazioni, a mio avviso, pur ragionevoli, perdono di credibilità nel momento in cui sono strumentalizzate a scopi politici, dunque utilizzate esclusivamente per reiterare una campagna denigratoria rivolta ad avversari politici. In questo caso, quelli democratici americani.
[11] Cfr. https://kailaasa.org/sovereignorder/
[12] Qui visionabile: https://gov.kailasa.sk/
[13] Si tratta dell’ente fondato dallo Swami Nithyananda riguardante le attività spirituali e meditative. Si veda il seguente sito: https://lifeblissfoundation.org/default.html
[14] In tal senso si rinvia a Jacob Copeman, Aya Ikegame, Guru logics, in HAU: Journal of Ethnographic Theory 2, n. 1, 2012, pp. 289–336.
[15] Sul tema si rinvia a Gavin Flood, An introduction to Hinduism, Cambridge University Press, Cambridge, 1996.
[16] Lo stesso utilizzo della parola “culto”, in questa sede dettato da ragioni di pura semplicità argomentativa, non è altro che l’impiego di una categoria tipica della cultura occidentale su quella induista. Per gli induisti la religione – concetto eventualmente traducibile con la parola darmha - è uno stile di vita, un’ortoprassi fatta di doveri; non solo un culto.
[17] Se solo si pensi a tutte le volte che i guru vengono, con ironia denigratoria, denominati “santoni”, o i fedeli, con fare dispregiativo o riduttivo, definiti come appartenenti di una “setta”.