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(16 giugno 2025)
- Premessa
Oggetto della sentenza in commento è la questione della qualificazione giuridica della sagrestia come luogo di privata dimora ai fini dell’applicazione dell’art. 624-bis c.p. (furto in abitazione). In effetti, la corretta qualificazione di tale ambiente ecclesiastico comporta conseguenze processuali e sostanziali significative, determinando il passaggio dalla fattispecie base del furto semplice ex art. 624 c.p. a quella aggravata del furto in abitazione, con conseguente procedibilità d’ufficio e inasprimento del trattamento sanzionatorio.
La condotta esaminata dalla Suprema Corte riguarda un furto di un borsellino posto all’interno di una borsetta, che una donna aveva lasciato nella sagrestia della chiesa dove si era recata per svolgere attività di volontariato. La Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cremona, aveva, in accoglimento dell'appello del Procuratore Generale, riqualificato il delitto di ricettazione originariamente contestato nella diversa ipotesi di cui all’art. 624-bis c.p.
Contro tale sentenza era stato proposto ricorso per Cassazione sul presupposto che la condotta contestata non integrerebbe la fattispecie del furto in abitazione, ma avrebbe dovuto essere qualificata come furto semplice, dato che la nozione di privata dimora dovrebbe essere riferita unicamente al parroco, e non alla persona offesa, che essendosi recata all’interno della sagrestia solo come ospite, per svolgervi attività di volontariato, non aveva la disponibilità né un rapporto di stabilità con la sagrestia della chiesa, essendole precluso, a differenza del parroco, l’esercizio di un qualsiasi jus excludendi.
- La decisone della Corte di Cassazione
La Corte nel rigettare il ricorso preliminarmente considera che «per come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, servente non solo l’edificio sacro ma altresì la casa canonica, deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a "privata dimora", essendone l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità (cfr., in questi termini, Sez. 4, n. 13492 del 21/01/2020, Anselmo, Rv. 279002-01; Sez. 4, n. 40245 del 30/09/2008, Aljmi, Rv. 241311-01)».
Per gli ermellini tale qualificazione della sagrestia «si conforma al generale principio espresso dal Supremo Collegio di questa Corte, per cui, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (così, espressamente, Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv. 270076-01)».
Accertato tale aspetto, pur spettando, in via esclusiva, alla persona del parroco la disponibilità della sagrestia e del relativo jus excludendi dei terzi, non può essere sostenuto l’esonero della responsabilità penale, «sul presupposto che la sottrazione del bene sarebbe stata effettuata in danno di una terza persona, e non già del parroco».
Pertanto, nel decidere la Suprema Corte precisa che «la nozione di privata dimora, di rilievo ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen., ha una natura esclusivamente obiettiva, riferendosi unicamente al luogo fisico, e non già alla persona del derubato. Non è richiesto, cioè, quale necessario presupposto, che la persona offesa coincida con lo stesso soggetto cui pertenga la disponibilità del luogo, con potere di escluderne l’eventuale accesso a terzi. Una volta che, come nel caso di specie, venga concesso alla terza persona di accedere al luogo di privata dimora, l’eventuale illecita sottrazione di un bene di proprietà del terzo non fa venir meno la qualificazione del reato come furto in abitazione, in quanto perpetrato in un luogo che, per l’appunto, secondo i canoni interpretativi indicati dalla giurisprudenza di legittimità, si connota certamente quale luogo di privata dimora».
- I criteri giurisprudenziali per la qualificazione della privata dimora e i precedenti giurisprudenziali che qualificano la sagrestia come privata dimora
La sentenza in commento si rifà al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità circa la qualificazione di un luogo come privata dimora e il riconoscimento di siffatta natura alla sagrestia.
Come precisato[1], la nozione di privata dimora, pur ricomprendendo esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, è più ampia di quella di abitazione.
La giurisprudenza di legittimità ha elaborato nel tempo criteri sempre più rigorosi per la qualificazione di un luogo come “privata dimora” ai sensi dell'art. 624-bis c.p. Le Sezioni Unite della Cassazione[2] hanno individuato tre elementi essenziali che devono sussistere cumulativamente:
- l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale) in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne;
- la durata apprezzabile e stabile del rapporto tra il luogo e la persona, caratterizzato da stabilità e non da mera occasionalità;
- la non accessibilità del luogo da parte di terzi senza il consenso del titolare, con la presenza di uno ius excludendi alios.
Nei precedenti che riconoscono alla sagrestia la natura di luogo di privata dimora è stato affermato il principio secondo cui la sagrestia, in quanto ambiente funzionalmente destinato allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto e servente sia l’edificio sacro che la casa canonica, costituisce luogo di privata dimora ai sensi dell’art. 624-bis c.p.[3]. La Suprema Corte ha precisato che tale qualificazione giuridica sussiste anche quando nella sagrestia vengano svolte attività di sostentamento in favore di soggetti bisognosi con accesso consentito in determinati orari, poiché l’elemento qualificante della privata dimora risiede nella possibilità di selezionare l’ingresso di terze persone ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità. Significativamente, la natura di luogo di privata dimora non viene meno per il solo fatto che manchi l’accertamento circa la presenza di una porta posta a chiusura del locale, essendo determinante il carattere funzionale dell’ambiente e la sua destinazione d’uso.
In altra sentenza[4] è stato ribadito che la sagrestia di una chiesa, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto e servente non solo l’edificio sacro ma anche la casa canonica, deve ritenersi luogo destinato a privata dimora, essendo l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità.
La giurisprudenza[5], poi, ha anche individuato le attività che si svolgono nella sagrestia comprendendo in esse:
- la vestizione dei celebranti;
- la preparazione delle attività liturgiche;
- l’attività di ricevimento riservato di determinati fedeli da parte del parroco;
- l’espletamento di attività di gestione della parrocchia caratterizzate da profili di riservatezza;
- la custodia di oggetti liturgici di valore e di carattere sacro.
Infine, è stato evidenziato che la sagrestia è «un luogo in cui l’ingresso può essere selezionato a iniziativa di chi ne abbia la disponibilità»[6], configurandosi pertanto come spazio caratterizzato da riservatezza e controllo degli accessi.
- Considerazioni conclusive
In un’altra recente sentenza[7] si è posto in risalto la peculiarità della sagrestia rispetto ad altri ambienti ecclesiastici, quale la sala parrocchiale. È stato sottolineato che il criterio dirimente ai fini della qualificazione di un luogo come privata dimora è di carattere funzionale, giacché postula che le attività che si svolgono all’interno del luogo siano assimilabili a quelle manifestazioni di vita privata tipiche dell’abitazione. In particolare, con riferimento alla sala parrocchiale, la sentenza ha chiarito che questa «non può essere automaticamente qualificata come luogo di privata dimora per il solo fatto che sia chiusa a chiave dal parroco che ne ha l’esclusiva disponibilità e che il rapporto tra la sala e il parroco sia connotato da stabilità».
L’analisi della giurisprudenza evidenzia un orientamento sostanzialmente consolidato nel riconoscere alla sagrestia la natura di luogo di privata dimora ai fini dell’applicazione dell’art. 624-bis c.p., pur presentendo essa caratteristiche peculiari che la distinguono dai tradizionali luoghi di privata dimora.
Tale orientamento si fonda su argomentazioni solide che tengono conto della funzione specifica di tale ambiente ecclesiastico e delle attività che vi si svolgono, evidenziando che per la sagrestia sussistono i tre elementi essenziali individuati dalla giurisprudenza di legittimità per la qualificazione di un luogo come privata dimora:
- lo svolgimento di attività riservate e complementari al culto;
- la stabilità del rapporto tra il luogo e il soggetto che ne ha la disponibilità;
- il controllo selettivo degli accessi.
La sentenza oggetto delle presenti osservazioni, oltre a conformarsi all’esposto orientamento giurisprudenziale, specifica ulteriormente la natura obiettiva della nozione di privata dimora riguardo alla sagrestia, riferendola esclusivamente al luogo fisico ed escludendo che possa configurarsi l’ipotesi di reato di cui all’art. 624-bis c.p. solo nel caso in cui la persona offesa coincida con il parroco, quale unico soggetto cui appartiene la disponibilità del luogo e lo ius excludendi alios.
Gerardo Bianco
Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza 30 aprile 2025, n. 16366
Sagrestia – Privata dimora – Furto in abitazione – Configurabilità ipotesi reato – Elemento fisico.
La sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, servente non solo l’edificio sacro ma altresì la casa canonica, deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a "privata dimora", essendone l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità. La nozione di privata dimora, di rilievo ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen., ha una natura esclusivamente obiettiva, riferendosi unicamente al luogo fisico, e non già alla persona del derubato. Non è richiesto, cioè, quale necessario presupposto, che la persona offesa coincida con lo stesso soggetto cui pertenga la disponibilità del luogo, con potere di escluderne l’eventuale accesso a terzi.
Omissis (…)
Svolgimento del processo
- Con sentenza del 5 febbraio 2024 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cremona del 5 luglio 2023, ha -per quanto di interesse in questa sede - in accoglimento dell’appello del Procuratore Generale, riqualificato il delitto di ricettazione originariamente contestato al capo 1) a A.A. nella diversa ipotesi di cui all’art. 624-bis cod. pen., per l’effetto aumentando l’entità della già disposta pena nella misura di anni quattro, mesi sei, giorni dieci di reclusione ed Euro 1.334,00 di multa.
L’imputata, in particolare, è stata ritenuta responsabile di avere sottratto da un borsellino di proprietà di B.B., posto all’interno di una borsetta lasciata nella sagrestia della chiesa S. (…) ove la donna si era recata per svolgere attività di volontariato, una carta bancomat rilasciata dalla RCC Credito C. e M., intestata alla stessa B.B.
La A.A. è stata, quindi, condannata anche per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 493-ter cod. pen., contestatole al capo 2), per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto, indebitamente utilizzato la carta bancomat sottratta a B.B., effettuando quattro diversi prelievi di denaro presso lo sportello della Banca Popolare di Crema filiale di Vailate (CR), per una complessiva somma di Euro 1.350,00, altresì effettuando acquisti per un importo di Euro 149,00 presso un esercizio commerciale di Calvenzano (BG).
- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A., a mezzo del suo difensore, (…) due motivi di ricorso, con il primo dei quali ha dedotto erronea applicazione dell’art. 624-bis cod. pen., sul presupposto che la condotta contestatale, correttamente qualificabile come furto semplice, non integrerebbe la fattispecie del furto in abitazione, considerato che la nozione di privata dimora potrebbe essere riferita unicamente al parroco, e non già a lei, che si era recata all'’interno della sagrestia solo come ospite, per svolgervi attività di volontariato. Non avrebbe avuto, pertanto, né la disponibilità né un rapporto di stabilità con la sagrestia della chiesa, peraltro essendole precluso, a differenza del parroco, l’esercizio di un qualsiasi jus excludendi.
(…)
Motivi della decisione
- Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarate inammissibile.
- In primo luogo priva di ogni fondamento è l’introduttiva censura, considerato che, per come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, servente non solo l'edificio sacro ma altresì la casa canonica, deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a "privata dimora", essendone l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità (cfr., in questi termini, Sez. 4, n. 13492 del 21/01/2020, Anselmo, Rv. 279002-01; Sez. 4, n. 40245 del 30/09/2008, Aljmi, Rv. 241311-01).
Ciò si conforma al generale principio espresso dal Supremo Collegio di questa Corte, per cui, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (così, espressamente, Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv. 270076-01).
Accertato l’indicato aspetto, e ritenuto comprovato come la disponibilità della sagrestia e del relativo jus excludendi dei terzi perteneva, in via esclusiva, alla persona del parroco, deve essere osservato come da ciò non possa essere inferito, come invece auspicato da parte della ricorrente, il conseguente esonero della sua responsabilità penale, sul presupposto che la sottrazione del bene sarebbe stata effettuata in danno di una terza persona, e non già del parroco.
Si tratta, infatti, di un evidente errore prospettico, considerato che la nozione di privata dimora, di rilievo ai sensi dell'art. 624-bis cod. pen., ha una natura esclusivamente obiettiva, riferendosi unicamente al luogo fisico, e non già alla persona del derubato. Non è richiesto, cioè, quale necessario presupposto, che la persona offesa coincida con lo stesso soggetto cui pertenga la disponibilità del luogo, con potere di escluderne l’eventuale accesso a terzi. Una volta che, come nel caso di specie, venga concesso alla terza persona di accedere al luogo di privata dimora, l’eventuale illecita sottrazione di un bene di proprietà del terzo non fa venir meno la qualificazione del reato come furto in abitazione, in quanto perpetrato in un luogo che, per l’appunto, secondo i canoni interpretativi indicati dalla giurisprudenza di legittimità, si connota certamente quale luogo di privata dimora.
Ne consegue il riconoscimento della corretta qualificazione giuridica del reato contestato sub 1) quale furto in abitazione, con conseguente affermazione della manifesta infondatezza del contrario motivo (Omissis) da parte della ricorrente.
(…)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso (…)
[1] Cass. pen, Sez. V, sentenza n. 36221, 26 settembre 2022.
[2] Cass. pen., Sez. Unite, sentenza n. 31345, 22 giugno 2017.
[3] Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 6142, 14 febbraio 2023.
[4] Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 9717, 22 marzo 2022; conferme a Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 13492, 21 gennaio 2020, e a Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 40245, 30 settembre 2008.
[5] Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 13492, 21gennaio 2020, cit..
[6] Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 5475, 6 febbraio 2018.
[7] Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 8248, 27 febbraio 2025.