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Commento
Nuove norme su cessazione dall’ufficio, responsabilità civile e trattamento pensionistico dei magistrati vaticani
1. Il provvedimento in oggetto, assunto direttamente dal Pontefice con lettera apostolica in forma di motu proprio, è l’ultimo in ordine di tempo di una serie di interventi normativi che, nel giro di alcuni mesi, peraltro nella fase finale del processo contro il cardinale Becciu e altri imputati, hanno a più riprese modificato lo stato giuridico, retributivo e previdenziale dei magistrati vaticani, compresi quelli dell’Ufficio del Promotore di Giustizia. Infatti, dopo la nuova Legge sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, pubblicata da papa Francesco il 13 marzo 2020, nel corso del 2023 il Pontefice ha prima emanato in data 12 aprile una lettera apostolica in forma di motu proprio recante “modifiche alla normativa penale e all’ordinamento giudiziario dello Stato”, poi in data 4 dicembre ha pubblicato la Legge N. DCXXVI recante “disposizioni per la dignità professionale e il trattamento economico dei magistrati ordinari del Tribunale e dell’Ufficio del Promotore di Giustizia dello Stato”, cui adesso si aggiunge quest’ultimo provvedimento. Nell’ambito di una sua analisi sommaria mi limiterò ad individuarne alcuni principali contenuti, lasciando ad altri un più adeguato approfondimento nei suoi risvolti anche di carattere tecnico e applicativi.
Una prima osservazione riguarda l’uso un pó disinvolto e indifferenziato dello strumento normativo utilizzato. Trattandosi di modifiche alla legislazione dello Stato vaticano e dei suoi organi, ci si aspetterebbe che la loro introduzione fosse disposta con una legge dello Stato, invece il Pontefice ha provveduto con lettera apostolica in forma di “motu proprio”, ossia con una tipica fonte canonistica. E’ una evidente conferma della tendenza ad integrare e fondere tra loro, anche sul piano delle fonti normative, le due realtà, Santa Sede (Curia Romana) e Stato vaticano, intesi come un unico sistema giuridico e ordinamentale1. In effetti non è la prima volta che ciò avviene, anche e soprattutto - come sopra già indicato - nella disciplina dell’ordinamento giudiziario dello Stato. Del resto i giudici vaticani sono oggi, a tutti gli effetti, una componente costitutiva della struttura di governo della Santa Sede, in quanto i membri della Curia Romana, dai semplici dipendenti ai prelati posti ai vertici dei singoli Dicasteri, sono soggetti alla loro giurisdizione in materia penale.
Quella relativa agli strumenti normativi da utilizzare è una scelta che spetta all’autorità suprema ma che, nella fattispecie, può indurre una qualche incertezza e disorientamento nell’interprete, in quanto il regime degli atti non è lo stesso, i due ordinamenti - quello canonico e quello vaticano - sono sempre stati considerati distinti e autonomi l’uno dall’altro, anche sul piano della soggettività
internazionale, e ciò può ingenerare confusione. Anche la ricostruzione del quadro normativo e la trasparenza dell’intero sistema non ne traggono beneficio. Oltre al carattere frammentario della normativa in materia, risultante dalla sovrapposizione in rapida successione di successive modifiche, si aggiunge la difficoltà di reperire i testi coordinandoli tra loro: basti pensare che le leggi vaticane sono reperibili nel sito dello Stato vaticano (www.vaticanstate.va) mentre i motu proprio pontifici sono rinvenibili sul sito della Santa Sede (www.vatican.va).
Nel merito la prima novità riguarda la cessazione dall’ufficio dei magistrati ordinari, sia di quelli del Tribunale che della Corte d’appello e della Corte di Cassazione, costituita da Cardinali. Mentre la Legge sull’ordinamento giudiziario prevedeva che essi, al compimento dell’età massima prevista (settantacinque anni per i giudici di tribunale e della Corte d’appello, ottanta per i Cardinali giudici di Cassazione), fossero “tenuti a rassegnare le dimissioni, che hanno efficacia con l’accettazione da parte del Sommo Pontefice” (artt. 10, 17 e 22), con un meccanismo simile a quello previsto nel diritto canonico per la perdita dell’ufficio (cfr. cann. 186, 401, 538, § 3, CIC; art. 17, § 2, cost. ap. Praedicate Evangelium sulla Curia Romana), il provvedimento in oggetto prevede invece che essi “cessano dall’ufficio, e conseguentemente dalla carica e dalle funzioni, a conclusione dell’anno giudiziario in cui compiono il settantacinquesimo anno di età [per i Cardinali giudici l’ottantesimo anno di età]”, mentre è il Sommo Pontefice a poterne “disporre la permanenza nell’ufficio oltre il limite” (artt. 1, 3 e in termini analoghi l’art. 4). In sostanza il compimento dell’età massima determina l’automatica decadenza del magistrato dal suo ufficio, salva la potestà del Pontefice di disporne la permanenza oltre il limite, con un meccanismo analogo a quello utilizzato per i dipendenti pubblici negli ordinamenti statali e che mira a migliorare la funzionalità del sistema, rendendo la proroga delle funzioni non più la regola ma un’eccezione disposta singolarmente dall’autorità superiore.
2. La seconda novità consiste nell’introduzione della responsabilità civile dei magistrati, ispirata all’analogo istituto previsto dalla legislazione italiana. Viene quindi prevista la possibilità di un’azione risarcitoria (per i danni patrimoniali e non patrimoniali) da parte di “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento posto in essere nell’esercizio delle funzioni giudiziarie”, limitata alle sole ipotesi di “violazione manifesta della legge commesse con dolo o colpa grave ed esclusivamente contro lo Stato”, il quale terrà esente il magistrato anche per le spese di giudizio, e salva l’azione di rivalsa nei suoi confronti da parte del Presidente del Governatorato entro sei mesi dall’avvenuto risarcimento sulla base del titolo giudiziale (art. 2). L’istituto è previsto negli stessi termini anche per i magistrati della Corte d’appello (art. 3, co. 6) e per i Cardinali giudici, membri della Corte di Cassazione (art. 22, co. 6), dei quali quindi si presume un’adeguata e approfondita conoscenza dell’ordinamento vaticano.
Si tratta di un’innovazione meritevole di apprezzamento nella sua ratio ispiratrice, nella misura in cui mira a soddisfare esigenze di giustizia, compensando con misure economiche gli effetti dannosi derivanti da gravi disfunzionalità che potrebbero verificarsi nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Tuttavia l’innesto nell’ordinamento vaticano di un simile istituto, peraltro molto discusso anche in Italia, che riflette delicati equilibri tra poteri dello Stato e una chiara impronta positivista, con la centralità assegnata alla “violazione della legge” intesa in termini formali e garantistici come specifica fonte del diritto2, pone una serie di interrogativi. In questa sede non è possibile approfondire un simile argomento ma solo indicare alcune piste di indagine.
Innanzitutto occorre chiedersi cosa debba intendersi, in questo ambito, per “violazione manifesta della legge” nell’ordinamento vaticano, visto l’uso indifferenziato da parte dello stesso legislatore supremo di fonti canoniche e vaticane: per esempio una lettera apostolica in forma di motu proprio, o altri provvedimenti pontifici come rescripta ex audientia, rescripta singolari, chirografi o una stessa costituzione apostolica, con cui pure sono state introdotte importanti disposizioni incidenti sull’ordinamento vaticano, o su soggetti operanti al suo interno e sottoposti alla giurisdizione dei giudici vaticani, e/o sull’assetto della Curia Romana, in termini di attribuzioni e competenze, e incidenti sulla portata di una serie di reati previsti dalla legislazione vaticana, sono da intendere come una legge, la cui “violazione manifesta” può quindi assumere rilevanza ai fini della responsabilità civile del magistrato vaticano? Stando all’art. 2 della Legge sulle fonti del diritto, che individua i requisiti formali delle leggi vaticane, sembrerebbe doversi dare risposta negativa ma ciò lascerebbe scoperta, cioè non risarcibile, la violazione di molteplici e importanti disposizioni integrative o modificative della normativa vaticana. Lo stesso interrogativo potrebbe porsi per la violazione di norme di diritto internazionale, generale o pattizio, al quale l’ordinamento giuridico vaticano si conforma (cfr. art. 1, co. 4, Legge sulle fonti del diritto) e che, come noto, non richiedono per il loro ingresso nello stesso una legge di esecuzione, come invece nell’ordinamento italiano.
Come si vede da questi esempi, si tratta di una questione che apre margini di interpretazione molto, forse troppo ampi, e che non sembra quindi opportuno lasciare alla discrezionalità dell’interprete.
In secondo luogo occorre considerare che l’istituto della responsabilità civile dei giudici implica, nell’ordinamento italiano, che l’azione venga proposta per ovvi motivi presso un ufficio giudiziario diverso, di diversa circoscrizione territoriale, da quello cui appartiene il magistrato cui viene imputato il comportamento o provvedimento fonte del danno ingiusto3, ciò che nell’ordinamento vaticano non appare possibile per l’unicità del giudice, ovvero il Tribunale di primo grado. Il provvedimento in oggetto non prevede nulla al riguardo, limitandosi a prevedere l’azione risarcitoria nei suoi presupposti e limiti e l’azione di rivalsa. In teoria si potrebbe ipotizzare nell’ordinamento vaticano la competenza ad esaminare un simile domanda da parte del giudice superiore rispetto a quello cui è imputato il comportamento o provvedimento fonte di danno, ossia la Corte d’appello se il magistrato appartiene al Tribunale (la Cassazione se appartiene alla Corte d’appello) ma ciò, a parte altre considerazioni di opportunità, ridurrebbe la facoltà di ricorso contro tale provvedimento.
3. Una terza e ultima novità riguarda il trattamento di quiescenza - trattamento di fine servizio e trattamento pensionistico - dei magistrati ordinari cessati dall’ufficio. A tale proposito si prevede innanzitutto che tali trattamenti “in quanto derivanti dalle attività prestate in favore dello Stato della Città del Vaticano, sono dovuti e corrisposti per l’intero (...) indipendentemente da ogni eventuale erogazione di analoga natura, comunque denominata, maturata o percepita all’estero” (art. 5): una precisazione che sembra doversi leggere in relazione alla Convenzione di sicurezza sociale tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana del 16 giugno 2000 e al suo art. 7 “Divieto di cumulo”, introducendo una deroga unilaterale a questa normativa di origine pattizia.
In secondo luogo il provvedimento in oggetto (art. 6) prevede la contestuale abrogazione dell’art. 35 del Regolamento Generale del Fondo Pensioni del personale ecclesiastico e laico della Santa Sede, degli enti da essa dipendenti e dello Stato vaticano4, che prevedeva - con provvedimento
della Commissione disciplinare della Curia Romana - la commutazione del diritto alla pensione in una prestazione «una tantum» da parte del Fondo “nel caso in cui il titolare venga colpito da condanna penale o canonica passata in giudicato per offesa alla Santa Sede, per delitti contro la religione cattolica, la moralità pubblica, il buon costume e il patrimonio ecclesiastico o comunque abbia tenuto un comportamento incompatibile, a giudizio della medesima Commissione disciplinare, con la permanenza di qualsiasi rapporto con la Santa Sede”. Si tratta di una disposizione di carattere generale, incidente sul regime pensionistico di tutti gli iscritti al Fondo, quindi anche sulle garanzie economiche dei magistrati vaticani, con l’effetto specifico di sottrarre quest’ultimi, la cui giurisdizione penale si estende a tutti i membri della Curia Romana, a provvedimenti di carattere disciplinare da parte di un organismo della stessa Curia Romana.
Paolo Cavana
Ordinario di diritto canonico ed ecclesiastico Università LUMSA (Roma)
1 Cfr. art. 1, § 2, Norme sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza dei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, in allegato (Allegato A) a FRANCESCO, Lettera Apostolica in forma di “Motu Proprio” “Sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza nelle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”, Roma, 19 maggio 2020 (in www.vatican.va), ove si prevede espressamente che la normativa sulle procedure relative ai contratti pubblici in oggetto risulta conforme alla Dottrina sociale della Chiesa e ai “principi fondamentali del sistema giuridico della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”.
2 Il Codice di diritto canonico prevede al riguardo, con formulazione più ampia e meno formalistica, un’azione sanzionatoria da parte dell’autorità competente nei confronti dei giudici che “essendo sicuramente ed evidentemente competenti, si rifiutano di giudicare, o che non sorretti da alcuna disposizione del diritto si dichiarano competenti e giudicano e definiscono le cause, oppure violano la legge del segreto, o per dolo o negligenza grave procurano altro danno ai contendenti” (can. 1457, § 1).
3 La legge italiana prevede che l’azione risarcitoria “deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri e davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d’appello competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p. e dell’articolo 1 delle norme di attuazione” del c.p.p. (art. 4, legge n. 117 del 1988).
4 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio «Con il Motu Proprio "La preoccupazione"», con allegati Statuto e Regolamento Generale del Fondo Pensioni, 15 dicembre 2003, in https://www.ulsa.va/content/dam/ulsa/documenti/bollettino12/ulsa_b12_4_it.pdf.