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Il Corano in Svezia
I roghi del Corano avvenuti recentemente a Stoccolma hanno dato vita ad un acceso dibattito, poiché in Svezia bruciare il Corano è risultato, in questi casi, addirittura rientrare nell’ambito protetto dalla libertà d’espressione.
Tutto nacque da alcune richieste di permessi per eventi pubblici nel corso dei quali sarebbe stato bruciato il Corano: il primo febbraio un’associazione culturale ha richiesto alla Polizia della capitale svedese il permesso per organizzare una manifestazione, il 9 febbraio 2023, dinanzi all’ambasciata turca; il 6 febbraio un privato cittadino attivista politico ha chiesto alla Polizia il permesso per una manifestazione, da tenersi il 13 febbraio, dinanzi all’ambasciata irachena: per entrambi gli eventi era stato previsto un esiguo numero di partecipanti.
In tutti e due i casi, però, l’autorità di polizia ha negato l’autorizzazione per motivi di ordine pubblico e sicurezza, in quanto bruciare in pubblico il Corano avrebbe potuto inevitabilmente accrescere la minaccia di attacchi terroristici in Svezia e contro gli interessi svedesi all’estero.
Il Tribunale amministrativo di Stoccolma, chiamato a giudicare i provvedimenti di rifiuto delle autorizzazioni, ha accolto i due ricorsi (Förvaltningsrätten i Stockholm, nn. 2741-23 e 2925-23), nonostante le date previste fossero ormai trascorse, a tutela degli interessi legittimi contro gli abusi della autorità di polizia.
I giudici amministrativi, infatti, dopo aver analizzato i casi specifici, affermano che le libertà d’espressione, riunione e manifestazione sono alcune delle libertà e dei diritti fondamentali garantiti a tutti dal capitolo 2, sezione 1 della Costituzione Regeringsformen (https://www.riksdagen.se/sv/dokument-och-lagar/dokument/svensk-forfattningssamling/kungorelse-1974152-om-beslutad-ny-regeringsform_sfs-1974-152/#K2; la Svezia, infatti, ha quattro documenti costituzionali: il Regeringsformen, sull’organizzazione del Governo, il Successionsordningen, sulla successione al Trono, il Tryckfrihetsförordningen, sulla libertà di stampa, ed il Yttrandefrihetsgrundlagen, sulla libertà d’espressione, cui va aggiunto, inoltre, anche il Riksdagsordningen, sull’organizzazione del Parlamento, che è una via di mezzo tra una costituzione ed una legge ordinaria).
Queste libertà e diritti costituzionalmente protetti, tuttavia, non sono assoluti, ma possono essere limitati per legge, secondo il cap. 2, sez. 20, del Regeringsformen, nei modi consentiti dalle sezioni 21, 23 e 24: vediamo dunque che, in primis, secondo la sez. 21, queste limitazioni:
- a) sono possibili solo per soddisfare scopi accettabili in una società democratica,
- b) non possono eccedere lo stretto necessario rispetto allo scopo che le abbia determinate,
- c) non possono spingersi a tal punto da costituire una minaccia alla libera formazione delle opinioni, che è uno dei fondamenti della democrazia,
- d) la restrizione non può essere decisa esclusivamente sulla base di opinioni politiche, religiose, culturali o d’altro tipo.
Il capitolo 2, sez. 24 dello Regeringsformen, inoltre, aggiunge che la libertà di riunione e di manifestazione può essere limitata per motivi di ordine e sicurezza della riunione o della manifestazione; per il resto, infatti, queste libertà possono essere limitate solo per motivi di sicurezza nazionale o per prevenire un’epidemia; ex sez. 25, infine, gli stranieri possono subire restrizioni speciali, purché stabilite per legge, riguardo alla libertà d’espressione, libertà di informazione, libertà di riunione, libertà di manifestazione, libertà di associazione e libertà di religione.
Trattandosi delle richieste d’autorizzazione per delle manifestazioni pubbliche, poi, va applicata anche la Legge n. 1617/1993, sull’ordine pubblico (https://lagen.nu/1993:1617), il cui cap. 2, § 10, stabilisce che l’autorizzazione per un raduno pubblico possa essere rifiutata solo per motivi di ordine o sicurezza del raduno o, come conseguenza diretta, delle sue immediate vicinanze, o per prevenire un’epidemia, mentre non è contemplata, invece, l’ipotesi del rifiuto per motivi di sicurezza nazionale.
Dalle decisioni della Polizia impugnate emerge che il motivo principale per cui le autorizzazioni siano state rifiutate fosse il timore che, secondo la Polizia, l’ordine pubblico e la sicurezza non avrebbero potuto essere garantiti a causa del raduno previsto, e che una manifestazione dinanzi all’ambasciata turca ed a quella irachena durante la quale fosse stata bruciata una copia del Corano avrebbe aumentato il rischio di attacchi terroristici in altre parti della Svezia o contro gli interessi svedesi all’estero.
Il Tribunale Amministrativo, tuttavia, ritiene che, sulla base dei precedenti, della normativa e della mens legislatoris, verificabile nei lavori preparatori per la revisione del Regeringsform (legge n. 1986/87, par. 151, pagg. 182 ss., https://lagen.nu/prop/1986/87:15), ed in quelli per la revisione della legge sull’ordine pubblico (legge n. 1992/93, par. 210, pagg. 80 ss. e 249 ss., https://lagen.nu/prop/1992/93:210), il concetto di ‘ordine e sicurezza durante la manifestazione’ sia sempre stato utilizzato in senso restrittivo, riferito cioè solo all’ordine ed alla sicurezza dei partecipanti, nonché ai problemi di ordine e sicurezza che sorgessero nelle immediate vicinanze della manifestazione e che ne fossero una diretta conseguenza.
L’aumento del rischio d’attentati terroristici, in Svezia o contro interessi svedesi all’estero, è perciò puramente ipotetico, ed il Tribunale amministrativo è del parere che, per autorizzare le restrizioni, debbano esistere circostanze relativamente concrete che indichino l’insorgere di disordini o rischi per la sicurezza durante il raduno.
Il Tribunale amministrativo ha esaminato i documenti su cui si è basata la decisione dell’Autorità di polizia, compresa la valutazione effettuata dal Servizio di sicurezza svedese: il fatto che i Servizi segreti svedesi avessero valutato che l’incendio pubblico del Corano potesse comportare di per sé un aumento del rischio di futuri attacchi terroristici è indubbiamente rilevante e da tener presente, tuttavia, il Tribunale amministrativo osserva che i problemi di ordine pubblico e di sicurezza citati dall’Autorità di polizia non avevano un chiaro collegamento con il raduno previsto o con le sue immediate vicinanze. Non vi erano neppure informazioni più dettagliate sulla minaccia, ad esempio sul luogo o sul momento in cui avrebbe potuto verificarsi un possibile attacco terroristico.
I Giudici amministrativi di Stoccolma hanno quindi ritenuto che l’autorità di polizia non avesse elementi sufficienti per respingere le domande d’autorizzazione ad organizzare un raduno pubblico presentate dall’associazione e dal privato cittadino attivista politico, e le decisioni impugnate vengono quindi annullate: non è ammissibile una limitazione certa ed immediata ad un diritto costituzionale per motivi solamente ipotetici e futuri.
Ma il Tribunale amministrativo di Stoccolma oltre a ciò stabilisce che non vi sarebbe, inoltre, violazione del sentimento religioso dei Musulmani, in quanto le due manifestazioni che avevano richiesto l’autorizzazione poi negata non erano dirette contro l’Islam, bensì, secondo i loro organizzatori, contro l’uso politico che alcuni Paesi, benché si proclamino, islamici fanno dell’Islam, e, con specifico riferimento alla Turchia, all’atteggiamento che questa stava mostrando verso l’adesione anche della Svezia alla NATO: in primis, infatti, prendendo in considerazione il luogo, le due manifestazioni non erano programmate per svolgersi dinanzi a qualche moschea, bensì dinanzi alle ambasciate di Turchia ed Iraq; in secundis, poi, il messaggio delle due manifestazioni non era diretto né contro l’Islam, né contro i Musulmani in generale, e neppure contro i Musulmani svedesi, bensì contro due Paesi (rectius, contro i Governi di due Paesi) che, secondo chi ha richiesto l’autorizzazione alle manifestazioni, starebbero strumentalizzando la religione islamica e la sua portata mondiale, grazie alla Ummah, per scopi politici ritenuti di piccolo cabotaggio.
Quest’importante distinzione, infatti, ha permesso d’escludere l’applicazione dell’art. 16 comma 8 del codice penale svedese (https://lagen.nu/1962:700), che prevede la punibilità di “chiunque, in una dichiarazione o in un altro messaggio pubblico, minaccia o esprime mancanza di rispetto per un gruppo di persone o un altro gruppo simile di persone con allusioni alla razza, al colore della pelle, all’origine nazionale o etnica, al credo, all’orientamento sessuale o al genere, è condannato per istigazione nei confronti di un’etnia alla reclusione per un massimo di due anni o, se il reato è di lieve entità, ad un’ammenda.
Se il reato è di grave istigazione ai danni d’un gruppo di persone, esso è punito con la reclusione da un minimo di sei mesi ad un massimo di quattro anni. Nella valutazione della gravità del reato, particolare considerazione deve essere prestata al fatto che il messaggio abbia un contenuto particolarmente minaccioso o offensivo e sia stato distribuito a un numero elevato di persone in modo tale da attirare un’attenzione significativa”: si tratta d’un articolo del codice penale finora sempre applicato contro la propaganda neonazista antiebraica, eccezion fatta per un unico caso, relativo, però, ad un post su Facebook che esprimeva disprezzo expressis verbis verso tutti i Musulmani in generale ed in quanto Musulmani (Svea Hovrätt, sentenza n. B4509, del 20 dicembre 2016).
All’inizio di luglio, poi, relativamente al rogo di simboli religiosi, erano stati richiesti due permessi per manifestazioni dinanzi l’Ambasciata israeliana, durante le quali era stato annunziato sarebbero state bruciate copie della Torah; a seguito del deciso intervento dell’Ambasciatore d’Israele presso il Re di Svezia, comunicato con un tweet https://twitter.com/zivnk/status/1618554571126870017, le manifestazioni si sono però svolte senza bruciare copie del testo sacro ebraico.
Nei tre casi in questione, ad ogni modo, come confermatoci via mail e per telefono dalla Polizia di Stoccolma, gli organizzatori delle manifestazioni avevano dichiarato di non voler esprimere disprezzo né verso i Musulmani o gli Ebrei in generale, né verso i Musulmani o gli Ebrei svedesi, e nemmeno verso l’Islam o l’Ebraismo, bensì sostanziare una critica politica contro tre Governi ben precisi: obiettivo quindi che in se ipso non viola la libertà religiosa, protetta a livello costituzionale, ed è legittimo e parimenti protetto a livello costituzionale dalla garanzia a favore della libertà di parola e d’espressione, ed appunto questa legittimità costituzionale si estende anche al – benché certo deprecabilissimo - mezzo utilizzato per fare conseguire alla critica politica de qua il massimo risalto mediatico possibile, ovvero bruciare una copia d’un testo sacro, raggiungendo il paradosso, si potrebbe aggiungere in conclusione, di dar vita ad una sicura strumentalizzazione mediatica della religione per protestare contro la sua asserita strumentalizzazione politica.
Stefano Testa Bappenheim