Protetto: Numero 2/2023INTERO FASCICOLO
NEWSCORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA La protezione internazionale religiosamente qualificata: le conversioni come criterio di riconoscimento dello status di rifugiato. (Cristiana Maria Pettinato)
Con la sentenza n. 483 del 2024, il TAR Lombardia (Sezione Quarta) ha annullato il provvedimento di rigetto relativo alla richiesta di un permesso di costruire di un immobile da destinare a luogo di culto di un’associazione islamica. Le motivazioni che hanno indotto i giudici amministrativi a propendere per l’annullamento riguardano sia la disciplina urbanistica in materia di edilizia di culto sia la sempre più complessa questione relativa alla qualificazione degli enti religiosi.
Il caso
Il Comune di Cantù, con il provvedimento prot.n. 16165 del 1 aprile 2021, ha rigettato la richiesta di permesso di costruire per “completamento capannone industriale con cambio di destinazione d’uso” finalizzato all’impiego dell’immobile come luogo di culto, presentata nel 2014 dall’Associazione Culturale islamica “Assalam”. Tra le motivazioni addotte dall’amministrazione comunale alla decisione di rigetto emerge l’assenza di uno dei requisiti soggettivi, richiesti dalla Legge regionale Lombardia n. 12 del 2005, per l’apertura o la costruzione di edifici da destinare al culto. L’Associazione Culturale islamica “Assalam”, infatti, non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 70, commi 1, 2, 2-bis, nella parte in cui prevede che “la realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi” deve essere effettuata “da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica” (comma 1), da “enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha già approvato con legge la relativa intesa ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione” (comma 2) o comunque da “enti delle altre confessioni religiose” (comma 2-bis).
In altre parole, nel provvedimento amministrativo viene negata la natura di “ente religioso” o comunque di “ente di una confessione religiosa” all’Associazione islamica, derivandone così l’impossibilità di stipulare una convenzione a fini urbanistici con il Comune interessato (comma 2-ter) e dunque di procedere alla costruzione di un edificio di culto.
L’intervento della Corte costituzionale sull’art. 70 della legge lombarda
La disciplina delle attrezzature religiose della Regione Lombardia è stata oggetto nel corso degli anni di numerose modifiche. La legge lombarda del 3 febbraio 2015, n. 2 ha modificato la legge n. 12 del 2005 (Legge per il governo del territorio) innovando i principi in materia di edilizia di culto. Tale normativa, a differenza della precedente, è stata oggetto di complessi giudizi di compatibilità costituzionale, i quali ne ha in più punti dichiarato l’illegittimità.
L’art. 70, nella sua versione originale, prevedeva che la realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi potesse essere fatta anche da enti di altre confessioni religiose (diverse dalla cattolica e da quelle acattoliche con intesa), a condizione che [la confessione religiosa] avesse i seguenti requisiti (art. 70, comma 2-bis): la presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale vengono effettuati gli interventi (a) e che i relativi statuti esprimessero il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione (b). La valutazione della sussistenza di tali requisiti era rimessa al parere obbligatorio e preventivo, seppur non vincolante, di una consulta regionale (art. 70, comma 2-quater).
La sentenza n. 63 del 24 marzo 2016 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di tale parte della disposizione in quanto «la legislazione regionale in materia di edilizia del culto ‘trova la sua ragione e giustificazione - propria della materia urbanistica – nell’esigenza di assicurare uno sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitativi e nella realizzazione dei servizi di interesse pubblico nella loro più ampia accezione, che comprende perciò anche i servizi religiosi’ (sentenza n. 195 del 1993). In questi limiti soltanto la regolazione dell’edilizia di culto resta nell’ambito delle competenze regionali.
Non è, invece, consentito al legislatore regionale, all’interno di una legge sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione, ad esempio prevedendo condizioni differenziate per l’accesso al riparto dei luoghi di culto. Poiché la disponibilità di luoghi dedicati è condizione essenziale per l’effettivo esercizio della libertà di culto, un tale tipo di intervento normativo eccederebbe dalle competenze regionali, perché finirebbe per interferire con l’attuazione della libertà di religione, garantita agli artt. 8, primo comma, e 19 Cost., condizionandone l’effettivo esercizio».
La legislazione regionale non può dunque ostacolare o limitare, attraverso speciali gravami, l’esercizio dei diritti connessi alla libertà religiosa. Alla luce della pronuncia della Corte costituzionale, ne deriva che l’unico requisito soggettivo necessario per la realizzazione di un edificio di culto, previa stipula di una convenzione urbanistica con il Comune interessato, è quello di essere “un ente di una confessione religiosa”.
La sentenza n. 483 del 2024 del TAR Lombardia
Secondo il TAR Lombardia, il Comune di Cantù avrebbe negato, senza addurre alcuna motivazione, la natura di “ente di una confessione religiosa” all’Associazione islamica, impendendole di fatto l’accesso agli strumenti previsti dalla legislazione urbanistica per l’apertura e la costruzione di un proprio edificio di culto. L’amministrazione locale avrebbe dunque violato il diritto di associarsi (art. 18 Cost.) e la libertà di culto (art. 19 Cost.), il cui esercizio trova nella disponibilità di luoghi dedicati una condizione essenziale. È possibile ravvisare, nel caso de quo, anche una violazione del divieto di discriminazione degli enti religiosi previsto dall’art. 20 della Carta costituzionale. Le più recenti letture della norma costituzionale suggeriscono che tali garanzie debbano essere è estese a tutti gli enti (espressione onnicomprensiva) cui possono dar vita le confessioni religiose e a quelle formazioni sociali, anche se da queste indipendenti, ma aventi finalità di religione o di culto. La tutela costituzionale deve applicarsi anche alle formazioni sociali d’ispirazione religiosa che non hanno ancora o che, probabilmente, per l’assenza dei requisiti richiesti, non otterranno il riconoscimento statale.
La legge regionale, a seguito della pronuncia di incostituzionalità, non prevede alcun criterio oggettivo per poter qualificare gli enti delle confessioni religiose acattoliche prive d’intesa, né può ritenersi ammissibile da parte dell’amministrazione alcuna valutazione discrezionale in merito. Ad aiutare l’interprete nell’individuazione dell’ambito di applicazione della disposizione deve essere proprio la norma costituzionale e, in particolare, il concetto di “ecclesiasticità funzionale”, finalizzato a una generale tutela delle forme organizzative influenzate dal fattore religioso, indipendentemente dalla struttura assunta.
Alla luce di quanto esposto e dalla lettura combinata degli artt. 18, 19 e 20 della Costituzione, è possibile ritenere che nell’ambito di applicazione dell’art. 70, comma 2-bis della legge regionale lombarda debbano rientrare tutte quelle formazioni sociali che, indipendentemente dalla struttura assunta, perseguano in concreto finalità di religione e di culto, e dunque anche le associazioni culturali islamiche.
Ludovica Decimo