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Nel tempo della sinodalità, che significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme, a Prata Sannitica, in provincia di Caserta, nel territorio della diocesi di Alife-Caiazzo, sede vescovile unita in persona episcopi alla diocesi di Teano-Calvi e a quella di Sessa Aurunca, fedeli e parroco percorrono, invece, strade diverse, e fuori di metafora. È accaduto nella giornata di lunedì in albis, in occasione della processione di Santa Maria. Il parroco aveva previsto un tragitto più breve per la processione ma gli accollatori, giunti allo snodo per imboccare il nuovo percorso processionale, con un atto di disobbedienza, si avviano sul quello tradizionale, seguiti da un buon numero di fedeli. Il parroco continua per la sua strada ma senza il simulacro e con scarso codazzo, mentre gli accollatori, con la statua della Madonna seguita dai fedeli, proseguono sul percorso “classico” della processione. Al rientro nella chiesa parrocchiale, il parroco non c’è ad attendere la statua della Vergine.
Nel 2013 la Conferenza Episcopale Campana, sulla scia del Direttorio sulla pietà popolare e la liturgia dell’allora Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti (2002) e in base al can. 944 §2 del Codice di diritto canonico, che stabilisce che spetta al Vescovo diocesano dare direttive circa le processioni con cui provvedere alla loro partecipazione e dignità, ha pubblicato il documento: Evangelizzare la pietà popolare - Norme per le feste religiose e le processioni, intendendo richiamare l’attenzione delle Chiese della Campania sull’urgenza della nuova evangelizzazione, che deve permeare anche la pietà popolare. Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium ricorda che la pietà popolare è: “autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista… Per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare”. Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, a proposito della pietà popolare però, affermava: “essa ha certamente i suoi limiti, e frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione [...]; ma se ben orientata, sopratutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori cristiani”.
Le processioni liturgiche possono essere: a) evocative; c) inerenti ad altre azioni liturgiche; c) votive, come nel caso di quelle della Madonna o dei Santi. Le processioni sono manifestazioni di fede del popolo, aventi spesso connotati culturali capaci di risvegliare il sentimento religioso dei fedeli, ma sono esposte – come ricorda il Direttorio del 2002 - ad alcuni rischi e pericoli: “il prevalere delle devozioni sui sacramenti, che vengono relegati in un secondo posto, e delle manifestazioni esterne sulle disposizioni interiori; il ritenere la processione come momento culminante della festa; il configurarsi del cristianesimo agli occhi dei fedeli non sufficientemente istruiti soltanto come una “religione dei Santi”; la degenerazione della processione stessa per cui, da testimonianza di fede, essa diventa mero spettacolo o parata puramente folkloristica”. Se la processione viene snaturata sotto il profilo teologico (popolo di Dio in cammino; segno della testimonianza di fede che la comunità cristiana deve rendere e segno del compito missionario), liturgico (es: presidenza ecclesiastica, onde evitare manifestazioni irrispettose e degenerative) o antropologico (“cammino compiuto insieme”), essa perde il suo valore ed il suo significato. Così il documento dei Vescovi della Campania, ricorda che la processione è espressione pubblica di fede; pertanto, non è consentito lasciarla in balia dello spontaneismo, bensì occorre curarla e guidarla in maniera tale che sia realmente una corale testimonianza dei genuini sentimenti religiosi della comunità. Di conseguenza, viene stabilito, tra l’altro, che il corteo debba essere guidato dal sacerdote o da un diacono; che i comitati non possano in nessun modo interferire nella processione; che gli itinerari, concordati con il Consiglio Pastorale Parrocchiale, seguano le vie principali e siano di breve durata, contenuti possibilmente nello spazio di due ore. Non sappiamo se la decisione circa il tragitto della processione di Prata Sannita abbia rispettato quanto stabilito dai Vescovi della Campania circa la condivisione della scelta del percorso. Da fonti giornalistiche si evince che il nuovo cammino processionale era stato già utilizzato in occasione della festa patronale, senza alcuna alzata di scudi da parte della comunità parrocchiale. Se da un lato, quindi, è auspicabile una sempre maggiore partecipazione dei fedeli anche in decisioni così identitariamente sensibili, come quelle che interessano le tradizioni religiose locali, onde scongiurare divisione e scandalo, nel rispetto delle disposizioni locali e tenendo presente il can. 212 §2 secondo cui i fedeli sono sempre liberi di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri, non si può non rilevare che quanto compiuto dagli accollatori e dai fedeli, che hanno deviato il percorso processionale, possa essere inquadrato come un abuso liturgico. Il Codice di Diritto canonico affida non solo al vescovo (can. 392) ma anche al parroco (can. 528 §2) il compito di vigilare sugli abusi liturgici. La deviazione consapevole ed oggettiva dall’ordine cultuale integra un abuso. In materia di abusi liturgici, il n. 184 dell’Istruzione Redemptionis Sacramentum, stabilisce, in via generale, che: “Ogni cattolico, sia Sacerdote sia Diacono sia fedele laico, ha il diritto di sporgere querela su un abuso liturgico presso il Vescovo diocesano o l’Ordinario competente a quegli equiparato dal diritto o alla Sede Apostolica in virtù del primato del Romano Pontefice. È bene, tuttavia, che la segnalazione o la querela sia, per quanto possibile, presentata dapprima al Vescovo diocesano. Ciò avvenga sempre con spirito di verità e carità”. E la carità dovrebbe orientare il ristabilimento, nel caso, della comunione parrocchiale, ricorrendo quanto prima alla giusta correzione dei fedeli, ripristinando la disciplina e un “autentico spirito di comunione relazionale” (M. Del Pozzo, Gli abusi liturgici: natura, storia, rimedi, Edusc, Roma, 2024, p. 185). Non è escluso, infatti, che la vicenda possa assumere anche una rilevanza penale, tanto canonica quanto statale. Se più difficile è ritenere, in sede canonica, che l’azione dei fedeli possa presentare profili concernenti l’ipotesi di profanazione (uso profano) di cosa sacra mobile (can. 1369), quale è il simulacro della Vergine Maria, più probabile potrebbe presentarsi l’ipotesi di impedimento dell’uso legittimo delle cose sacre (can. 1372), da punirsi con pena espiatoria. Le cose sacre, quelle cioè che sono state destinate al culto divino con la dedicazione o la benedizione, come ricorda il can. 1171, devono essere trattate con riverenza e non adoperate per usi profani o impropri. In ambito statale, invece, l’art. 405 c.p. disciplina il reato di turbamento delle funzioni religiose, che si realizza quando si impedisca o turbi l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose che si compiano con l’assistenza di un ministro del culto o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico. La processione, avendo la finalità di esaltare il sentimento religioso e di rendere omaggio anche fuori dal tempio alla divinità, alla Madonna ed ai Santi, costituisce una pratica religiosa tutelata dall’art. 405 c.p., a condizione che vi sia l’assistenza di un ministro del culto cattolico (Cass. sez. 3, n. 987 del 17/06/1968). La turbativa, poi, si verifica quando il suo svolgimento non avviene in modo regolare (Cass. sez. 3, n. 20739 del 13/03/2003; Cass. sez. 3, n. 369 del 06/03/1967).
Infine, il Cerimoniale dei Vescovi, con indicazioni utili anche per gli altri chierici, stabilisce che quando si presiede una processione, ci si posiziona sempre dopo “l’oggetto sacro” (n. 1100). Se si fosse rispettato il Cerimoniale, il parroco di Prata Sannita, trovandosi dietro il simulacro mariano, in mezzo al suo popolo e non davanti ad esso (Papa Francesco), avrebbe avuto modo di ascoltare “tutte” le suppliche dei fedeli, per quanto, nel caso, ostinate, e forse, alla fine, avrebbe seguito quell’immagine mariana, restando con la sua gente, guidato dal sensus fidelium, proseguendo per la “via vecchia”… considerato che sulla “via nuova” non ha trovato quasi nessuno.
Paolo Palumbo