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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 149/2023, è intervenuta nuovamente in materia di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale stabilendo che la convivenza “come coniugi” costituisce un elemento essenziale del “matrimonio rapporto” e, ove si protragga per almeno tre anni dalla data della relativa celebrazione, è in grado di integrare una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”. Tuttavia, discostandosi da una interpretazione rigida di tale principio tracciato dalle SS.UU. (sent n. 16379/2014 e n. 16380/2014), in questo pronunciamento si apre un ulteriore spiraglio nella scia di quanto già tracciato in precedente (Cass. sent. n. 17910/2022), ritenendo la convivenza ultratriennale non ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica in presenza di vizi genetici del “matrimonio-atto” allorquando presidiati da nullità anche nell’ordinamento italiano.
In particolare, la convivenza ultratriennale non è stata ritenuta ostativa alla dichiarazione di efficacia civile in Italia di una sentenza ecclesiastica nella quale è stata dichiarata la nullità del matrimonio canonico per incapacità a contrarre determinata da una causa di natura psichica, in quanto tale motivo invalidante è previsto anche nell’ordinamento italiano e non è sanabile dalla protrazione della convivenza coniugale prima della relativa scoperta.
Nel caso specifico oggetto del giudizio, infatti, il matrimonio era stato dichiarato nullo a norma del canone 1095 C.I.C., con particolare riferimento al grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare (n. 2), nonché alla incapacità ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica (n. 3). Tali fattispecie di nullità, previste dal diritto canonico, per la Suprema Corte trovano corrispondenza all’interno dell’ordinamento giuridico italiano nell’ipotesi di invalidità sancita nell’art. 120 c.c., a norma del quale il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio.
In questa prospettiva, la pronuncia in esame si inserisce nell’ambito del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, ribadendo che in caso di delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale non esiste, nell’ordinamento giuridico italiano, un principio di ordine pubblico secondo il quale il vizio che invalida il matrimonio possa essere fatto valere solo dal coniuge il cui consenso sia viziato, ritenendo preminente l’esigenza di rimuovere il vincolo matrimoniale prodotto da un atto inficiato da un vizio di natura psichica (Cass. n. 9044/2014, n. 4387/2000, n. 3002/1997, n. 6331/1988).
Raffaele Santoro
Fonte: www.altalex.it
PAROLE CHIAVE
Matrimonio canonico, nullità, incapacità psichica, sentenza ecclesiastica, delibazione, convivenza ultratriennale, ordine pubblico