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Quaderno monografico n. 1GIAN PIERO MILANO La conformazione del diritto vaticano al diritto internazionale
5 settembre 2025
Mercoledì 3 settembre 2025 la Procura del Re presso il Tribunale di Rabat, in Marocco, ha tratto in arresto Ibtissame Lachgar, nota per il suo impegno per la difesa delle libertà individuali e quale attivista della comunità LGBTQ+, accusandola di aver pubblicato una foto mentre indossava una maglietta con la scritta “الله is lesbian (Allah è lesbica)” e citandola direttamente a giudizio[1].
Benché presentato dai media come un caso di repressione nei confronti degli appartenenti alle comunità LGBTQ+, il procedimento trae spunto dalla violazione delle norme vigenti a tutela del sentimento religioso.
Difatti, nel corso della conferenza stampa, il pubblico ministero procedente ha dichiarato che l’apertura di un’indagine e la custodia cautelare della donna sono state disposte in conformità alle leggi del Regno, a seguito di espressioni blasfeme contenute nella foto pubblicata nonché del testo inserito a commento, contenente offese alla religione islamica.
Il provvedimento giudiziario, tuttavia, ha destato notevole clamore sui social e tra gli attivisti dei diritti umani marocchini, che lo hanno stigmatizzato, tacciandolo di violare la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, valori pur tutelati dalla Shari’a [2]. Sul punto, va notato che il Regno del Marocco è uno tra i Paesi islamici maggiormente all’avanguardia nel promuovere riforme sul piano giuridico e sociale indirizzate alla difesa dei diritti e delle libertà individuali, che vanno dalla tutela della donna e dei minori, al rispetto delle pari opportunità, fino alla difesa delle minoranze religiose[3].
Sono stati difatti numerosi i commenti diffusi sul web e le iniziative intraprese a sostegno dell’attivista delle comunità “arcobaleno”, in Marocco come anche in Europa ed in Italia. In particolare, molti internauti hanno manifestato solidarietà alla donna, sostenendo che aveva pubblicato una semplice opinione, senza violenza o incitamento, ed hanno minimizzato la sua azione, riportandola nell’alveo della libertà di espressione e della legittima rivendicazione dei diritti delle femministe e degli omosessuali.
A riprova di questa particolare ricostruzione difensiva dell’accaduto, è intervenuta la stessa Ibtissame Lachgar la quale, nel corso dell’udienza successiva all’arresto, ha dichiarato che quello riportato sulla maglietta indossata non è altro che uno slogan femminista che esiste da anni, diffuso contro le ideologie sessiste e la violenza sulle donne, e che non ha alcun legame con l’Islam.
A ben vedere, tuttavia, e diversamente da quanto sostenuto, attraverso il post pubblicato sul social “X” del 31 luglio 2025 e poi rimosso, la militante non si è espressa propriamente in termini di tutela dei diritti della comunità LGBTQ+ o di rivendicazione del diritto di manifestazione del proprio pensiero, quanto piuttosto in una chiara espressione contro il sentimento religioso ed in particolare contro l’Islam: “Au Maroc je me balade avec des t-shirts avec des messages contre les religions, l’islam etc. On fait des collages avec @MALImaroc. Vous nous fatiguez avec vos bondieuseries, vos accusations. Oui l'islam, comme toute idéoligie religieuse, est FASCISTE. PHALLOCRATE ET MISOGYNE”[4].
Invero, la Costituzione marocchina riconosce il diritto di esprimere la propria opinione, ma la libera manifestazione del pensiero è subordinata al rispetto della legge, che ne stabilisce le modalità di esercizio e i limiti, in base ai quali l’attivazione di tale libertà non deve violare l’ordine pubblico, la sicurezza dello Stato o la morale pubblica. Inoltre, sul punto, il codice penale del Regno, nel difendere generalmente il diritto di manifestare il proprio pensiero ed il principio di non essere discriminati per le proprie opinioni, punisce chi utilizza espressioni che vadano a ledere l’Islam. Ancora, il codice dell’editoria e della stampa marocchino, agli artt. 31 e 71, prevede l’applicazione di una ammenda alle pubblicazioni e ai media elettronici ritenuti colpevoli di offendere l’Islam, con la possibile applicazione della sanzione accessoria della sospensione e dell’oscuramento dell’account[5].
Dunque, nel caso in esame, poco o nulla sembrano entrare le rivendicazioni “arcobaleno”, poiché non è la censura di diritti e libertà ma è la difesa del sentimento religioso che viene messa al centro della vicenda, attraverso la tutela appositamente prevista dall’ordinamento marocchino. Ed è su questo specifico punto che bisogna focalizzare l’analisi, per poter valutare in modo oggettivo quanto accaduto.
A seguito dell’udienza, infatti, l’imputata è stata condannata a 30 mesi di reclusione ed al pagamento di una multa di 50.000 dirham per aver violato l’art. 267-5 del Codice penale[6], che punisce chiunque attenti alla religione islamica, pena che peraltro può essere aumentata se il fatto viene condotto pubblicamente, attraverso un mezzo elettronico o una piattaforma social. Affermare di indirizzare dei messaggi contro la religione e criticare pubblicamente l’Islam (fascista, fallocrate e misogino), come ha fatto Ibtissame Lachgar nel suo post, è stato ritenuto un attacco diretto ed esplicito all’Islam, condotta punita dalla legge, da chiunque commessa (uomo/donna), di ogni orientamento o inclinazione sessuale (etero/omo), e per qualunque motivazione assunta (manifestazione del pensiero/rivendicazione di diritti/tutela di libertà).
Ma vi è di più.
Se infatti, da un punto di vista giuridico, la condotta è stata inquadrata quale fattispecie tipica di offesa della religione islamica, prevista e punita dall’art. 267-5 c.p., essa si presta per essere analizzata anche sul versante teologico.
Invero, l’attenzione deve essere rivolta alle espressioni utilizzate nel post pubblicato dalla militante, che ha associato a Dio una specifica caratteristica, quella di essere “lesbica”. Per la legge religiosa dell’Islam ciò costituisce una grave violazione, non tanto per la qualità che si intende attribuire, quanto per il fatto di farlo. Dio ha 99 nomi ed attributi[7], alcuni riconducibili a specifiche aggettivazioni, come “il Misericordioso” (الرحيم), “il Clemente” (الرحيم), attraverso i quali i credenti possono invocarlo a seconda del momento o della specifica situazione, come peraltro invita a fare il Corano: “Dio possiede i nomi più belli, e voi invocatelo con quei nomi (…)”[8]. Affiancare a Dio altri nomi o ulteriori attributi, come appunto “lesbica”, significa associargli altri, e ciò viola il concetto fondamentale del tawhid, l’unità e l’unicità di Dio, pilastro assoluto del monoteismo nella sua ultima declinazione[9]. Chiunque agisce così viene appunto definito associatore (مشرك), un grave peccato che da alcune scuole teologiche viene sussunto nel reato di blasfemia[10], cristallizzato nel Corano “E la gran parte di loro crede in Dio solo associando a lui altre divinità”; “(…) chi dà a Dio dei compagni, Dio chiuderà le porte del giardino, la sua dimora sarà il fuoco (…)”[11].
Concludendo, al di là delle rivendicazioni degli attivisti delle comunità LGBTQ+ e di tutela dei diritti umani, non deve stupire che in uno Stato islamico com’è il Regno del Marocco permanga una elevata soglia di attenzione per il sentimento religioso, che si riverbera anche in una tutela penale che non si rende permeabile a provocazioni o ad offese, soprattutto se deliberatamente veicolate in pubblico o con piattaforme destinate alla più ampia diffusione.
Vasco Fronzoni
Fonte: Open.online, 5 settembre 2025
https://www.open.online/2025/09/05/marocco-carcere-femminista-ibtissam-lachgar-maglietta-allah-lesbica/
[1] Cfr. https://www.open.online/2025/09/05/marocco-carcere-femminista-ibtissam-lachgar-maglietta-allah-lesbica/
[2] Cfr. Mohammad Hashim Kamali, Freedom of Expression in Islam, Islamic Text Society, Cambridge, 1997.
[3] Sul punto, tra altri, si rinvia a Osire Glacier, Les droits humains au Maroc, entre discours officiels, luttes citoyennes et réalités de terrain, Editions La Croisée des chemins, Casablanca, 2025; Abdellah Boussouf, Une monarchie citoyenne en terre d’Islam, Les Editions du Cerf, Paris, 2018; Bureau de l’Organisation des Nations Unies pour l’éducation, la science et la culture, Université Hasan II, Le genre et l’université au Maroc, Unesco, Rabat, 2018; Andrea Martinez, Gaëlle Gillot, Femmes, printemps arabes et revendications citoyennes, IRD Editions, Montpellier, 2017; Susan Slyomovics, The Performance of Human Rights in Morocco, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 2005. Per una visione più generale e non polarizzata soltanto sul Marocco, cfr. Shehnaz Haqqani, Feminism, Tradition and Change in Contemporary Islam. Negotiating Islamic Law and Gender, Oneworld Publications, London, 2024.
[4] Cfr. https://www.huffingtonpost.fr/international/article/allah-est-lesbienne-le-t-shirt-de-cette-militante-feministe-n-a-pas-du-tout-plu-aux-autorites-marocaines_253477.html
[5] Codice dell’editoria e della stampa, adottato con legge n. 88-13 del 2016 e promulgato con decreto n. 1-16-122 del 10/08/2016, disponibile alla url https://mjcc.gov.ma/wp-content/uploads/2022/01/Code_Presse2016_FR-1.pdf
[6] Cfr. art. 267-5 del Codice penale del Marocco, introdotto dalla legge n. 73-15 del 18/07/2016, promulgata con Decreto n. 1-16-104/2016 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 6522 del 1/12/2016: “Chiunque attenta alla religione islamica, il regime monarchico o incita altri ad attaccare l’integrità territoriale del Regno sarà punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con una multa da 20.000 a 200.000 dirham, o con una sola di queste due pene.
La pena è aumentata da due a cinque anni di reclusione e da 50.000 a 500.000 dirham ovvero ad una di queste pene quando gli atti di cui al primo comma sono commessi mediante discorsi, grida o minacce pronunciati in luoghi pubblici o nel Corso di pubbliche riunioni, o mediante manifesti esposti al pubblico, o mediante vendita, distribuzione o qualsiasi altro mezzo che soddisfi la condizione di pubblicità, compresi i mezzi elettronici, cartacei e audiovisivi” (traduzione nostra). Cfr. مجموعة-القانون-الجنائي-وقانون-المسطرة-الجنائية.pdf
[7] Sul punto, cfr. Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, dalle origini ai nostri giorni, Adelphi, Milano, 1991; Stefano Allievi, “A Dio appartengono i nomi più belli”. Come pregano I musulmani, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2015.
[8] Cor. VII, 180. Per il Corano, ci si riferisce alla seguente edizione: Alberto Ventura (a cura di), Ida Zilio-Grandi (tradotto da), Il Corano, Mondadori, Milano, 2010.
[9] Pur non essendo tawhid un termine coranico, quello dell’unità ed unicità di Dio è un principio onnipresente nel Corano, assurto a dogma e direttamente collegato alla shahada (la professione di fede). Per approfondimenti, si rinvia tra molti altri a Al-Juwayni, Al-Shamil fi Usul al-Din, Dar al-Maʿarif, Alexandria, 1969; Shahrastani, Nihayat al-akdam fi Ilm al-Kalam, Oxford Univesrsity Press, Oxford, 1934; A. J. Wensinck, The Muslim creed: its genesis and historical development, Cambridge University Press, Cambridge, 1932.
[10] Sul punto, si veda A.G. Oudah Shaheed, Criminal Law of Islam, Adam Publisher & Distributor, New Delhi, 2005, III, pp. 752 ss.
[11] Rispettivamente, Cor. XII, 106; Cor. V, 72.
PAROLE CHIAVE
Islam – Marocco – Blasfemia – Tutela del sentimento religioso – Lgbtq+